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Andrea Farinet, Presidente Socialing Institute

La crisi sanitaria e sociale che stiamo vivendo ha posto in luce evidenti contraddizioni nel funzionamento sociale dei mercati nelle economie avanzate.

Nasce, infatti, il più grande dramma sovranazionale che la nostra civiltà abbia mai sperimentato in tempo di economia di pace. Un dato su tutti.  Ad aprile 2020 la regione Lombardia conta cinque volte più persone decedute, tra i civili, che nei cinque anni della seconda guerra mondiale, i parenti non possono seppellire i propri cari, le salme vengono cremate, si vedono fosse comuni in diversi città in diverse parti del mondo. La Lombardia conta purtroppo più decessi per Covid19 di quelli registrati in tutta la Cina. Le persone in lutto non possono abbracciarsi tra di loro per piangere i propri morti. Tutti rinchiusi in casa, in una sacrosanta quarantena collettiva, per limitare i danni devastanti dell’epidemia.

Lo sconcerto ed un dolore lancinante albergano nella mente e nel cuore degli italiani, degli europei, di tutti i popoli. Sperimentiamo insieme alle diverse latitudini e longitudini la più grande limitazione delle libertà individuali in tempo di pace. La guerra con il virus si rivela amara, dolorosa e sconcertante come la guerra militare tra i popoli. In alcuni casi presenta aspetti di disumanità inediti e quasi paralizzanti.

Ogni attività sociale, economica, produttiva, relazionale che non abbia il requisito dell’urgenza è stata sospesa, o rinviata. Chiudono le scuole, le Università, i Tribunali, le amministrazioni pubbliche, tutti i luoghi di incontro e di scambio. La nostra società si è ritrovata in un limbo misterioso ed angosciante. Il nuovo ordine di scuderia è: distanza sociale. Già questo termine è inquietante e andrebbe corretto in “distanza fisica”. La distanza sociale nelle Scienze sociali è riferibili alla gerarchia esistente da un punto di vista socio-economico tra i diversi strati della popolazione. Noi siamo un popolo che ha fatto della relazione interpersonale un modo di vivere e, in alcuni casi del passato, di sopravvivere. La nostra sofferenza individuale e collettiva è totale.

I principali quesiti che ognuno di noi si è posto in queste settimane, in questi mesi, ruotano sostanzialmente intorno a tre domande di fondo: sopravviverò? I miei cari sopravviveranno? Quale futuro ci aspetta? Sopravvivenza, affetti, esigenza di certezze sono i tre grandi nodi irrisolti per ognuno di noi. La vita è il valore assoluto che sovrasta tutti gli altri. E’ naturalmente giusto autolimitarsi nel proprio comportamento relazionale per tutelare sé stessi e gli altri. Il prezzo da pagare è stato e sarà molto elevato.

Per molte settimane la nostra dimensione domestica ha ricoperto il ruolo di bunker, di scrigno difensivo e , quasi, di arresto domiciliare.

Improvvisamente, quasi da un giorno all’altro, ci siamo risvegliati incapaci di credere a questa nuova realtà che si stava profilando. Questa realtà così non è “pensabile”. L’essere umano si ritrova in uno shock emotivo traumatico che la mente, comunemente intesa, non riesce ad elaborare facilmente. L’iperattivismo frenetico che caratterizza le nostre vità ha lasciato posto ad un brusco ripensamento delle nostre priorità. Malgrado tutto in molti casi la reazione più frequente è stata, e continua ad essere, un sostanziale arretramento egoistico: devo salvarmi, devo proteggere la mia vita ed i miei affetti, devo pensare al mio lavoro. Al resto penserò quando sarò salvo, o probabilmente tale, sia fisicamente che economicamente.

In realtà, come ha sottolineato Massimo Recalcati, “nessuno si salva da solo”. Occorre comprendere a fondo che è necessario una nuova coesione sociale, solidale e fraternizzante.

Sempre a titolo puramente esemplificativo riflettiamo insieme su questo dato. Secondo elaborazioni Censis su dati Istat nell’aprile 2020 sono state sospese in Italia il 48% delle attività economiche. Più precisamente, considerando l’universo di riferimento del sistema delle Structural Business Statistics (SBS), le attività̀ formalmente sospese hanno riguardato 2,1 milioni di imprese (poco meno del 48 per cento del totale), che impiegano 7,1 milioni di addetti (di cui 4,8 milioni dipendenti). Tali imprese generano – sulla base dei dati riferiti al 2017 – 1334 miliardi di euro di fatturato (il 41,4 per cento del livello complessivo) e 309 miliardi di valore aggiunto (il 39,5 per cento del totale).

Davvero noi siamo così miopi da non cogliere la radicalità di questo trauma collettivo non pensabile? Pensiamo che un’analisi circostanziata con le logiche conosciute ci possa veramente far risollevare? Cosa è successo alla nostra civiltà dedita a grandi investimenti in biotecnologie, in genomica, in diagnosi predittive, in nuovi farmaci per farsi trovare così impreparata? Non è forse il caso di osservare la crudezza della realtà che stiamo vivendo per poi rimboccarsi le maniche, come l’Italia ha saputo fare in tanti fasi diverse della nostra storia? Forse non possiamo imparare da questo trauma civile ed economico a configurare una nuova architettura sociale condivisa, realmente umanistica?

Consideriamo il perimetro ed il contenuto di questo nuovo drammatico scenario e proviamo a disegnare le eventuali, possibili, vie d’uscita:

  • gli individui, anche in qualità di potenziali consumatori, hanno seriamente temuto, come sottolineato, per la propria vita e per quella dei propri cari. Questa precarietà inaspettata confligge con alcuni pilastri della società moderna e post-moderna quali la fiducia nella scienza, nell’innovazione e nei nostri sistemi sanitari. Restiamo tutti attoniti nella nostra sostanziale impotenza. Senza certezze e fiducia nel futuro sospendiamo quasi ogni scelta di acquisto o investimento (Sentimento diffuso di grande incertezza)
  • L’intera comunità è arretrata nella piramide di Maslow ai bisogni primari (fisiologici e sicurezza), il livello di fiducia nel futuro è ai minimi storici in tutto l’Occidente. Di fronte ad un rischio estremo, la salvezza è stata cercata nell’individualismo, sconfinato molto spesso in egocentrismo. Questa tendenza viene testimoniata dalle ricerche condotte nelle ultime settimane sugli strati sociali più esposti alla crisi in corso dalle più autorevoli società di ricerca demoscopica e di mercato. (Rifugio frequente nell’individualismo)
  • Le famiglie italiane sono tra le più filantrope d’Europa, avendo devoluto circa 9,1 miliardi di euro nel 2017 in attività sociali e benefiche. Questa emergenza ha dimostrato, senza che ce ne fosse bisogno, il grande cuore degli italiani.

Gli Italiani sono stati estremamente solidali durante questa emergenza:

907  Iniziative mappate, € 715,86 mln  Totale donazioni e fondi, 682  Numero donatori / promotori, 216 Iniziative a favore di enti non profit

(Fonte Italianonprofit). Questi dati sono aggiornati al 06/05/2020. Si è assistito, quindi, in questi mesi ad una gara di solidarietà straordinaria. In Italia la filantropia, intesa come sostegno ad attività socialmente utili attraverso l’erogazione di risorse monetarie, muove complessivamente 9,1 miliardi di euro, posizionando il nostro Paese al terzo posto in Europa dopo Regno Unito con 25,3 miliardi e Germania con 23,8 miliardi ). (Fonte: FERPI 11/10/19). L’Italia si colloca al secondo posto in Europa per donazioni individuali e al quinto posto per erogazioni di impresa. Secondo UBS l’Italia è quinta al mondo dopo USA, Olanda, Germania e Svizzera con 86,2 miliardi di euro in asset filantropici gestiti da 6.222 Fondazioni – quest’ultimo dato ASVIS. (La filantropia come aggregatore sociale)

  • Gli italiani dedicano molto tempo al sociale ed al volontariato. Le istituzioni non profit attive in Italia sono 350.492 – il 2,1% in più rispetto al 2016 – e impiegano 844.775 dipendenti (+3,9%) (dati Istat riferiti al 2017). Si stima che nel 2018, sempre secondo Istat, quasi 6 milioni di italiani abbia, su base mensile, dedicato una parte significativa del proprio tempo libero alle circa 350.000 imprese sociali. La media nazionale dice che ci sono nel nostro Paese in media 911 volontari ogni 10.000 abitanti. L’ossatura della sostanziale tenuta del nostro tessuto socioeconomico deve molta gratitudine e riconoscenza a chi si è prodigato nell’assistere le persone in maggiore difficoltà. Altruismo, immedesimazione, generosità sono doti genetiche nel nostro patrimonio antropologico e valoriale. Bisogna saper canalizzare e finalizzare queste energie. L’Italia alla valutazione della fiducia nell’annuale Rapporto pubblicato dall’Eurispes che misura, tra le altre cose, l’indice della fiducia dei cittadini verso alcune Istituzioni o attori sociali. Cresce di nuovo nel 2019 la fiducia nei confronti del volontariato che torna ad un 70% (Il volontariato come aggregatore relazionale).
  • L’economia italiana nel 2020, secondo il World Economic Forum, registrerà una contrazione del Prodotto interno lordo superiore al 9%, la Germania del 7%, l’intera area Euro del 7,5%. Gli italiani arrivano a questa crisi fortemente indeboliti da più di dieci anni di sostanziale stagnazione del nostro sistema economico. Sempre il World Economic Forum stima che la disoccupazione possa aumentare del 30% nel corso del 2020. Ci ritroveremmo un anno dopo la crisi, a fine febbraio 2021, forse con un italiano su cinque disoccupato. Le strategie delle istituzioni e delle imprese, basate su approcci congiunturali di adattamento, non possono più funzionare. E’ necessario trovare nuove forme

di salvaguardia collettiva del lavoro. (La disoccupazione come disgregatore sociale)

  • Le famiglie italiane sono, d’altra parte, le più patrimonializzate al mondo. Possediamo, nel 2018, tra attività finanziarie, patrimoniali e immobiliari una ricchezza pari a 8 volte il nostro prodotto interno lordo. Le famiglie francesi, seconde dietro all’Italia, si attestano su un moltiplicatore pari a 7 volte, le famiglie statunitensi sono ferme a 1,5 volte il loro Pil. Secondo il Censis, nel 2019, nella composizione del portafoglio delle attività finanziarie degli italiani vince la voce contante e depositi bancari, con 1.390 miliardi di euro, pari al 33% del totale e una crescita del 13,7% rispetto a dieci anni fa.
  • Il problema è che prima della crisi stavano tutti alla finestra in attesa della ripresa. Adesso molti hanno chiuso la finestra, intuendo che la ripresa è troppo lontana per essere quantomeno avvistata. Forse più che della tanto agognata ripresa dovremmo iniziare a pensare e a parlare di rinascita o di ricostruzione. Ma la rinascita sociale che ci può essere davvero utile è quella condivisa ed etica. (Il risparmio – lavoro capitalizzato – come ammortizzatore socio-economico).
  • L’Italia ha alcune aree di eccellenza nella propria specializzazione produttiva tra cui spicca tutta la Filiera Agro-alimentare. Il valore aggiunto dell’agricoltura in Italia è di 31,9 miliardi di euro secondo Istat. L’Italia si conferma al primo posto nella Ue28 davanti a Francia (31,0 miliardi di euro) e Spagna (26,5 miliardi).  Abbiamo organizzato a Milano EXPO 2015, tra le differenti motivazioni, perché abbiamo l’agricoltura più virtuosa al mondo: il nostro valore aggiunto per ettaro è generalmente pari al doppio rispetto a quello dei francesi e quattro volte quello dei tedeschi. Abbiamo fatto riconoscere la dieta mediterranea come patrimonio culturale immateriale dall’Unesco nel 2008. I valori agricoli, la cultura dell’imprenditore agricolo come imprenditore sociale che tutela il territorio, il paesaggio e le risorse naturali ci deve guidare nella ricerca culturale e valoriale delle possibili vie d’uscita. (Il sistema agro-alimentare come acceleratore della rinascita).
  • La nostra produzione farmaceutica e biomedicale è tra le più avanzate al mondo, con alcuni distretti territoriali specializzati nella produzione di dispositivi ad alta tecnologia. Il valore economico e qualitativo di queste competenze è estremamente elevato. Ad esempio in questa direzione si muove, in termini di ricerca applicata, lo straordinario Istituto Italiano di Tecnologia di Genova (Medicina e diagnostica predittiva, nanotecnologie, nuovi materiali, etc.). In quindici anni di attività abbiamo quasi raggiunto il MIT di Boston nell’impatto citazionale sulle riviste scientifiche internazionali più accreditate. Ricerca scientifica, innovazione, sanità, prevenzione ambientale, nuove tecnologie, nuovi dispositivi, nuove app possono guidare il nostro cammino evolutivo. (Il sistema farmaceutico e sanitario come acceleratore della rinascita).
  • La nostra grande distribuzione, il nostro dettaglio tradizionale e specializzato hanno dato una grande dimostrazione di serietà, tempismo e spirito di adattamento. Nel giro di poche settimane è crollata l’affluenza nei punti di vendita, soprattutto ipermercati e grandi superfici in generale, è esplosa la domanda di e-commerce e consegna a domicilio, lo smartworking obbligatorio ha imposto nuovi modelli operativi, comunicativi e logistici. Secondo il Ministero del Lavoro 554.754 lavoratori sono stati mandati a lavorare da casa. Numeri che crescono di giorno in giorno: i maggiori operatori telefonici segnalano che il traffico dati sulle linee fisse è aumentato nella primavera 2020 in media del 20% con picchi del 50%. Stanno nascendo nuovi modelli operativi, logistici, organizzativi completamente nuovi ed inaspettati. In questo contesto la cooperazione è decisamente più efficace ed efficiente della competizione, almeno nel breve periodo. (La distribuzione come acceleratore della rinascita).
  • Nel corso del mese di marzo 2020, il 75% delle persone che hanno effettuato un acquisto on line era la prima volta che sperimentavano questo tipo di acquisto. La digitalizzazione delle attività economiche e delle professioni sarà sempre di più un pilastro della nostra ripresa. E’ necessario avviare uno sforzo collettivo di alfabetizzazione a 360° della nostra società.  (La trasformazione digitale e l’e-commerce come nuova frontiera evolutiva in molti mercati)
  • L’audience dei media classici, in particolare la televisione, ha superato molti record di ascolto nelle diverse fasce orarie, dimostrandosi un mezzo di comunicazione indispensabile per molti strati della nostra popolazione. Parallelamente i Social Network diventano un canale di comunicazione e di socializzazione sempre più decisivo nelle nostre relazioni interpersonali “distanziate”. L’uso dei Social Network va però reso più solidale e più rispettoso della privacy degli utilizzatori. E’ necessario che l’Europa quanto prima rispetti le intenzioni manifestate ai primi di dicembre 2019 nel corso dell’insediamento della nuova Commissione (I media come parte integrante della reazione alla crisi).

Questa breve ricostruzione del perimetro analitico, necessario per dare sostanza e contorno alla crisi che stiamo vivendo, ci consente di identificare alcuni elementi su cui andrà focalizzata la nostra attenzione dei prossimi mesi:

– Sentimento diffuso di grande incertezza.

– Rifugio frequente nell’individualismo.

     – La filantropia come aggregatore sociale.

     – Il volontariato come aggregatore relazionale.

     – La disoccupazione come disgregatore sociale.

     – Il risparmio – lavoro capitalizzato – come ammortizzatore socio-economico.

     – Il sistema agro-alimentare come acceleratore della rinascita.

    – Il sistema farmaceutico e sanitario come acceleratore della rinascita.

    – La distribuzione come acceleratore della ripresa economica.

    – La trasformazione digitale e l’e-commerce come nuova frontiera evolutiva in

      molti mercati

    – I media come parte integrante della reazione alla crisi.

All’interno di molti di questi nuovi fenomeni è interessante rilevare il nuovo ruolo attivo della domanda. Quest’ultima per troppo tempo è stata l’anello debole della teoria economico-sociale. Difficilmente inquadrabile da un punto di vista mono-disciplinare (demografia, antropologia culturale, sociologia economica, psicologia sociale, statistica, economia politica, economia industriale, economia aziendale, etc.), la domanda è stata spesso relegata in una posizione subalterna rispetto all’offerta.

L’affermazione: “Viviamo in un’economia di mercato” prevede il fatto che vi sia equilibrio e simmetria informativa e cognitiva tra le due forze che compongono il mercato stesso (domanda e offerta in interazione continua grazie alla competizione dinamica innovativa). Di fatto molti mercati sviluppano comportamenti collusivi, e non competitivi, da parte delle imprese e degli operatori economici che lo popolano. Il benessere dei clienti/consumatori viene così spesso svilito dall’assenza di un confronto reale sul rapporto qualità/prezzo dell’offerta delle singole imprese.

Alcune recenti profonde trasformazioni sociali ci aiutano a comprendere meglio il sentimento collettivo che si va formando quali:

  • la profonda crisi economica, più di dieci anni, ed i suoi effetti sui comportamenti d’acquisto;
  • l’aumento significativo della scolarità. In Italia, i livelli di istruzione della popolazione sono in forte aumento anche se restano ancora inferiori a quelli medi europei; sul divario incide la bassa quota di titoli terziari. In Italia, la quota di 25-64enni in possesso di almeno un titolo di studio secondario superiore è stimata pari a 61,7% nel 2018 (+0,8 punti percentuali sul 2017), un valore molto inferiore a quello medio europeo, pari a 78,1% (+0,6 punti sul 2017);
  • il nuovo protagonismo sociale e relazionale della componente femminile della nostra società;
  • il forte sviluppo dei nuovi media e social network, che hanno modificato significativamente il media habit ed i processi informativi e cognitivi d’acquisto degli italiani.

Tutti questi fenomeni, oltre naturalmente ad altri, hanno progressivamente determinato una nuova e diffusa consapevolezza del ruolo sociale di ognuno di noi. Parallelamente si è diffusa la percezione che, in molti casi, “viviamo in un economia d’offerta più che in un economia di mercato”. Di conseguenza la principale “via d’uscita” scaturisce da queste consapevolezze: la soluzione è innanzi tutto culturale e valoriale. Le istituzioni e le imprese devono predisporre un nuovo paradigma analitico, descrittivo ed interpretativo. Nel 2019 il Reputation Institute ha rilevato che negli Stati Uniti circa il 50% di un acquisto è guidato da elementi intrinseci della qualità e del prezzo di una determinata offerta. L’altro 50% è composto dalla condivisione da parte dei consumatori dei valori/purpose in cui crede e si impegna concretamente l’azienda stessa. Questa componente immateriale valoriale diventerà sempre più rilevante. L’azienda non potrà rinchiudersi nel paradigma economicista di breve periodo che, molto spesso, è alla base di frequenti disparità ed iniquità socio-economiche.

La necessità di un passaggio da una strategia di Marketing ad una di Socialing è quindi evidente. Confrontiamo le possibili risposte di questi due approcci alle domande che abbiamo elencato in precedenza:

– Davvero noi siamo così miopi da non cogliere la radicalità di questo trauma collettivo non pensabile? Il Socialing, come disciplina economico- sociale pone al centro l’individuo, la persona ed il suo benessere reale. Il Marketing aiuta le imprese a vendere di più e meglio spesso allontanandosi dai bisogni effettivi delle persone. Oggi serve attenzione, immedesimazione, sobrietà, solidarietà: in altre parole grande compassione per un dolore immane vissuto da decine di migliaia di nostri concittadini. Questi ultimi aspettano un nuovo approccio che tenga conto della drammaticità sanitaria, lavorativa, occupazionale, economica che stiamo affrontando. Di fronte ad un dramma non pensabile, risulta anacronistico dirsi: è passato, oppure il peggio è passato. La morte inaspettata, surreale e solitaria dei propri cari non passa mai nell’arco di una vita intera.

– Pensiamo che un’analisi circostanziata con le logiche conosciute ci possa far risollevare? Il Socialing non usa la ricerca sociale e demoscopica per trovare nuovi bisogni, non ricorre come il neuromarketing a tecniche sopraffini con l’obbiettivo di manipolare le menti. Il Socialing analitico ricorre alla psicologia del profondo mediante immagini/metafore per comprendere a fondo il vissuto reale e simbolico dei potenziali consumatori. Gli straordinari studi del team di Gerald Zaltman, al centro Mind, Brain, Behaviour (MBB) dell’Università di Harvard hanno dettato una svolta in questo campo con cui anche un grande esperto come Philip Kotler si è dovuto confrontare. L’obiettivo del Socialing è servire le persone con un tasso di profitto etico e trasparente. L’obbiettivo del Marketing è, purtroppo sempre più frequentemente, quello di “usare” i bisogni delle persone per raggiungere il massimo profitto conseguibile. Il Life Time Value del cliente è l’espressione principe di questo parossismo economicista e mercantilista.

– Cosa è successo alla nostra civiltà dedita a grandi investimenti in biotecnologie, in genomica, in diagnosi predittive, in nuovi farmaci per farsi trovare così impreparata? Il Socialing, ponendo al centro delle proprie attività il benessere reale delle persone e dell’ambiente, prevede che nessuna impresa possa trascurare la vera priorità assoluta. Questa è la vita degli esseri umani, degli animali, dei vegetali, delle risorse idriche, atmosferiche, geologiche. Non possiamo nei prossimi anni commettere errori di sottovalutazioni così gravi. Ci sono purtroppo nemici invisibili, come i virus, da cui possiamo difenderci se coalizziamo le forze in uno sforzo sovranazionale di ricerca, innovazione e prevenzione. Le analisi di mercato indicavano agli analisti aziendali che studiare e prevenire il Covid19 fosse poco remunerativo di fronte ad altre alternative di investimento. Quando sarà ipotizzato e contabilizzato il danno economico sociale che stiamo vivendo ci si accorgerà che non basteranno gli zero a destra del numero per renderlo realistico.

– Non è forse il caso di osservare la crudezza della realtà che stiamo vivendo per poi rimboccarci le maniche, come l’Italia ha saputo fare in tante fasi diverse della nostra storia? Il Socialing non elude o addomestica la realtà. La osserva per migliorarla, per trasformarla, orientandola verso il bene comuneLo spirito di servizio che anima il Socialing strategico prevede una logica di ricostruzione morale, spirituale, psicologica, sociale a tutti i livelli. Le imprese in questo processo ricostruttivo hanno un ruolo decisivo. Nei confronti di tutti gli interlocutori interni ed esterni della propria filiera organizzativa e distributiva. Il piano di ricostruzione e rinascita può nascere dalle imprese: etica, trasparenza e reciprocità sono i veri pilastri e non certo la generica e fumosa affermazione di porre al centro il cliente e la sua “experience”.

Gli scambi saranno sempre meno basati sui punti di vendita, l’e-commerce entrerà di prepotenza nelle nuove abitudini come avvenne in Cina per la crisi legata alla Sars, nasceranno nuovi digital brand etici, nuovi comportamenti di confronto e acquisto, nuovi scenari competitivi. Si registrerà un grande ricorso infrastrutturale alle tecnologie erogate in modalità cloud. Se fossero state più diffuse molti siti di e-commerce non sarebbero andati in default. Nasceranno nuove filiere comunicative, logistiche e negoziali. Nasceranno piattaforme di business matching per far incontrare domanda e offerta, soprattutto nei mercati business to business. Tutte le istituzioni e imprese dovranno far i conti con i Big Data, con il Predictive Socialing, con nuove forme di connessione delle competenze e delle professionalità interne ed esterne.

– Forse non possiamo imparare da questo trauma civile ed economico a configurare una nuova architettura sociale condivisa? E’ evidente che è il momento della Terza Via. La direzione in questo senso è chiara: green economy, sovranità digitale, responsabilità sociale, strategie di socialing aziendale per avvicinare la domanda nella sua essenza, compartecipazione del rischio, meritocrazia a tutti i livelli. La Terza Via non potrà mai essere un mix innaturale degli elementi più gradevoli del capitalismo, soprattutto quello digitale, con quelli delle socialdemocrazie più evolute. Queste ultime sono anacronisticamente depressive nel tentativo di far fraternizzare concittadini tra loro agli antipodi per vocazione, talento ed aspirazioni.

La Terza Via dobbiamo costruirla noi, ex novo partendo dalle nostre radici, dalla nostra cultura, dalla nostra vocazione relazionale, dal nostro innato talento artistico.

In fondo, in fondo, la natura sociale della domanda descritta sinteticamente in questo breve articolo chiede questo. Crisi deriva dal verbo greco krinomai e significa sostanzialmente decidere. Ecco dobbiamo decidere tutti insieme se il dramma che stiamo vivendo è una dolorosa singolarità o una necessaria transizione verso una nuova architettura sociale innovativa. Ci vuole umanità, creatività e molto coraggio. A noi italiani sicuramente queste doti non mancano. La mia ricetta? Obiettivi alti, aspettative basse, impegno costante per ricostruire fiducia, speranza, appartenenza.

In sintesi necessità di un nuovo equilibrio tra società ed economia.

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